Il procuratore nazionale antimafia: la sfida è la lotta alla corruzione
PESARO – Parte con gli anni di Falcone, il procuratore Franco Roberti, davanti al triennio dello Scientifico e ai ragazzi degli istituti pesaresi: «Cosa nostra temeva che lui e Borsellino potessero guidare la direzione nazionale antimafia. Sono stati uccisi per questo». Cita Loris D'Ambrosio, «che ha sostenuto il percorso giuridico per la nascita della procura», poi si commuove al nome di Emilio Alessandrini: «Un mio carissimo amico che avrebbe pagato per fare il magistrato. E anche io la penso allo stesso modo».
Discrimine. Nella settimana della legalità c'è l'intreccio con la giornata mondiale della felicità. Così Matteo Ricci sottolinea che «la legalità è elemento essenziale della ricerca della felicità. Il discrimine tra civiltà e inciviltà». Quindi: «Pensiamo ancora alla mafia e alla criminalità organizzata come a qualcosa di estraneo, che non ci riguarda – osserva il sindaco -. Invece per queste organizzazioni non ci sono confini. E anche il nostro territorio, che ha sempre avuto gli anticorpi per espellere i tentativi di infiltrazioni malavitose, oggi registra più difficoltà rispetto al passato». Soprattutto perché la crisi economica rende vulnerabili e aumenta il rischio: «Le forze dell'ordine, che sono sotto organico, stanno facendo un lavoro straordinario. Ma noi dobbiamo fare la nostra parte – rimarca Ricci, esortando i i ragazzi -. La sfida si vince facendo crescere la cultura della legalità. E voi siete le nostre sentinelle contro la malavita. La cultura della legalità? E' camminare a testa alta, con la schiena dritta. Dai giovani deve venire l'esempio: in questa città vogliamo cittadini così, per riuscire a costruire una comunità migliore. E più felice».
Sfida. Dice il procuratore che non avrebbe mai immaginato, un giorno, di trovarsi a capo della direzione nazionale, come successore di Piero Grasso, «proprio in quell'ufficio pensato e voluto da Falcone». E con i ragazzi del Marconi è dialogo franco: «Se Falcone non fosse stato assassinato, probabilmente oggi parleremmo di mafie al passato. Purtroppo ancora non sono state sconfitte. Ma in questi anni l'azione dello Stato è stata incisiva. Cosa nostra è stata messa alle corde: tutti i capi sono stati assicurati alla giustizia. Ne manca solo uno: Matteo Messina Denaro, ma sono convinto che lo arresteremo». Va avanti: «Il clan dei Casalesi? Non esiste più dal punto di vista militare, siamo agli ultimi sussulti. La 'ndrangheta, invece, si è radicata anche nelle regioni del centro-nord e si è sviluppata nel rapporto di corruzione con l'economia locale. Per questo è più difficile da sradicare». Lancia messaggi sul tema: «Il mafioso e il corruttore sono figure diverse. Ma c'è qualcosa che li accomuna: la visione predatoria della cosa pubblica. L'obiettivo è l'arricchimento a spese della collettività, con meccanismi come l'infiltrazione e l'acquisizione di appalti pubblici. Dobbiamo contrastare la corruzione: ci sono disegni di legge in parlamento, sono certo che saranno approvati. Ma abbiamo perso molti anni, così come nella lotta al riciclaggio».